MEMORIA DEL CARD. FRANCESCO CARPINO
E DEL SACERDOTE DON PINO PUGLISI
OMELIA DEL CARDINALE ARCIVESCOVO
Cattedrale, 15 Settembre 1998

  1. Associata con Maria alla passione di Cristo, con lei la Chiesa partecipi alla gloria della Risurrezione.
    È questo l’augurio che la Liturgia ha espresso nella preghiera colletta, contemplando la Vergine Addolorata sofferente accanto al suo Figlio, innalzato sulla Croce.
    L’essere associata alla passione del suo Fondatore per partecipare alla sua glorificazione è la vocazione della Chiesa e in essa di ogni cristiano, chiamato dal Signore a seguirlo sulla via che porta a Gerusalemme, il luogo della glorificazione nella passione e nella risurrezione.
    D’altra parte è stata questa la sorte del suo Fondatore. Lo ha sottolineato nella prima lettura l’autore della Lettera agli Ebrei, indicando nella forza della sofferenza il segreto e il titolo per cui il Figlio di Dio fatto uomo divenne “causa di salvezza eterna per tutti coloro che gli obbediscono”.
    Quanti gli obbediscono e si mettono alla sua sequela diventano, come lui, segno di contraddizione, secondo la predizione del vecchio Simeone e, non possono eludere il mistero delle sue sofferenze, come avvenne per Maria, per completare in loro, a favore della Chiesa, ciò che manca alla sua passione.
  2. A questo mistero di morte e di risurrezione vengono associati per un titolo specifico, quello dell’ordinazione che li configura ontologicamente a Cristo Capo e pastore della Chiesa, i sacerdoti.
    Nell’esercizio della carità pastorale essi si conformano a Cristo che per la Chiesa ha dato la vita, perché sia santa e immacolata nell’amore al cospetto di Dio e del mondo.
    Dare la vita per la Chiesa, per i fratelli: è questa la loro vocazione e un tratto inconfondibile della loro missione.
    Questa sera noi facciamo la memoria congiunta di due Sacerdoti che hanno dato, uno incruentemente e l’altro cruentemente, la vita per la Chiesa: il Cardinale Francesco Carpino, Arcivescovo della Chiesa palermitana e Don Pino Puglisi gemma fulgidissima del suo presbiterio.
    Tornati ambedue alla casa del Padre, cinque anni fa a soli venti giorni di distanza, la concomitanza della loro memoria non è puramente casuale. In apertura del nuovo anno pastorale la ripresentazione di due figure luminose della nostra Chiesa è per tutti noi un dono del Padre che è nei cieli e che anche nella nostra terra di Sicilia, anche nella nostra Chiesa di Palermo, suscita uomini di prima grandezza da proporre alla nostra ammirazione e imitazione. A tal proposito plaudo al Centro Operativo del Movimento pro Sanctitate di Palermo che ha in animo di svolgere a dicembre un Convegno sui Servi di Dio della nostra Arcidiocesi.
  3. La memoria odierna del Cardinale Carpino è motivata dalla traslazione delle sue spoglie mortali da Palazzolo Acreide nella nostra Chiesa Cattedrale, che l’accoglie con gratitudine, con venerazione, con gioia, perché l’amore e la venerazione per i Pastori si manifestano autentici non solo quando li circondano da vivi ma soprattutto quando non vengono meno dopo la loro morte.
    Sono grato alla Signorina Concettina che, esprimendo il desiderio della traslazione delle spoglie del fratello nella nostra Cattedrale, ha dato una prova ulteriore del grande amore pastorale del Cardinale Carpino per la nostra Chiesa.
    E sebbene il suo ministero palermitano sia stato breve, luminosa per la testimonianza della vita e intensa per l’impegno apostolico è stata la sua donazione al nostro popolo, così come aveva promesso nel primo messaggio di saluto:
    “impegnare per voi le mie energie, la mia attività, tutta intera la mia vita”.
    Luminosa è stata la sua testimonianza di pastore, da tutti riconosciuto pio, dotto, umile, zelante, prudente, affabile, amabile, rispettoso, riservato, desideroso unicamente di essere in mezzo al suo popolo una ripresentazione sacramentale di Cristo Buon Pastore, coerente e fedele. E per questo – come si espresse il Papa nell’Omelia del rito funebre – “la sua lunga vita non fu priva di sofferenze tanto acute quanto nascoste”.
    Intensa è stata la sua donazione apostolica: l’inizio della riforma conciliare, l’erezione di parrocchie in quartieri degradati, la premurosa carità nei tristi giorni del terremoto, la divisione dell’Arcidiocesi in zone pastorali, il sostegno all’Opera Vocazioni Sacerdotali, l’impulso dato al laicato cattolico, l’attenzione ai problemi sociali sono solo le più significative espressioni.
    Il tutto, vissuto nella “pazienza” in sintonia col suo motto “Fructum affert in patientia”. Il suo breve episcopato palermitano è stato da lui stesso sintetizzato nel discorso di commiato, quando ha ricordato l’impegno del suo programma “di portare a tutte le anime la salvezza: salvezza nell’amore che comprende, che compatisce, che cerca, che attende, che conforta; salvezza nel sacrificio che è offerta, che è dono, che è immolazione, anche della propria vita; salvezza che deve avere dimensioni non solo personali ma sociali e civiche…Impegno di amore, ma anche impegno di pace:” Vi lascio la pace, vi do la mia pace; ve la dò non come la dà il mondo! Il mondo ha la sua pace fondata sulla forza, sulla violenza, sulla sopraffazione, sulla paura. Non è questa la pace che ci lascia il Signore, non è questa la mia pace”.
    È tutto qui il Cardinale Carpino: l’uomo, il cristiano il sacerdote, il teologo, il professore, il servitore della Santa Sede ad alti livelli, l’Arcivescovo di Monreale e di Palermo.
    Il suo messaggio oggi ritorna più vivo e stimolante che mai, all’inizio del nostro anno pastorale, mentre, con la sua, facciamo la memoria di don Pino Puglisi, che quel messaggio di offerta, di dono, di immolazione anche della propria vita accolse e tradusse in modo totale sino alla fine, sino alla effusione del sangue.
  4. L’apertura dell’anno pastorale nel giorno anniversario della sua morte significa non solo che la memoria del suo sacrificio non può morire né diminuire, ma, anche e soprattutto, che la memoria della sua sacrilega uccisione – per il modo in cui è avvenuta e per le motivazioni per le quali è stata eseguita – resta per noi e per la nostra azione pastorale la voce perenne e implacabile del sangue che invita al coraggio, alla coerenza, alla fortezza, alla santa audacia nell’esercizio del ministero sacerdotale e di ogni altro servizio nella Chiesa per il trionfo del bene su tutte le aggressioni e le perversioni del male.
    Dal testo della sentenza, emessa il 14 aprile di quest’anno dalla Corte di Assise di Palermo contro gli autori del delitto in cui fu vittima don Pino, noi conosciamo i particolari della sua uccisione che hanno quasi il sapore degli antichi martirologi e ci confermano sulle motivazioni di un così esecrabile delitto.
    “Lo avvistammo che stava telefonando in una cabina e si pensò di attuare subito il delitto”, hanno dichiarato in tribunale i suoi uccisori. “Non è che eravamo pronti, è stato che lo abbiamo visto e deciso di farlo. Andammo a prendere l’arma, ma al ritorno non era più nella cabina. Decidemmo di attenderlo sotto casa. Il Padre si stava accingendo ad aprire il portoncino, aveva un borsellino nelle mani. Fu una questione di secondi. Ebbi il tempo di notare che l’altro si avvicinò e gli mise la mano nella mano per prendergli il borsellino. Gli disse piano: Padre, questa è una rapina. Lui si girò, lo guardò, gli disse:” Me l’aspettavo”. Lo sparo non provocò alcun rumore”.
    “Me l’aspettavo”. Ma perché?
    Perché, è scritto nella sentenza, Padre Puglisi “sin dal primo giorno del suo insediamento presso la Chiesa di S.Gaetano in Brancaccio, si era dedicato ad una attiva opera costruttiva, anche se in modo silenzioso – , di recupero sociale del quartiere, consistente nell’aiuto ai non abbienti, ai bambini abbandonati e alle famiglie in difficoltà. La sua opera pastorale si era estrinsecata in ogni settore, come il recupero dei tossicodipendenti, la creazione di aggregazioni sociali come il centro “Padre Nostro”. Per la sua attività di evangelizzazione, la Chiesa di S.Gaetano era diventata per tutti un centro di riferimento e soprattutto per gli abitanti di Brancaccio che trovavano un’alternativa alla triste e violenta realtà ambientale”…Ma “questa attività religiosa era osteggiata dalle forze occulte e forse anche palesi che da tempo reggevano le sorti di quel quartiere”.
    “Aveva avviato un’opera di risanamento morale religioso che aveva coinvolto larghe fasce di fedeli, … Concepiva la sua missione come impegno nelle attività sociali, come educazione dei giovani alla giustizia, al rispetto dei diritti e dei doveri e nel rigoroso ambito della visione pastorale ed evangelica del suo operato, esortava cittadini e parrocchiani e tutta la comunità ecclesiale ad aderire alla cultura e alla pratica dell’ordinaria legalità”.
    Era di carattere schivo e riservato preferendo l’impegno quotidiano alle azioni spettacolari, ma per il suo attivismo che si esprimeva nell’organizzazione si era esposto prima alle rappresaglie poi all’offensiva della mafia, aveva ricevuto minacce, avvertimenti, che aveva coraggiosamente denunciato ai fedeli nelle omelie domenicali.
    L’eliminazione del parroco di Brancaccio, dunque, voleva essere un atto intimidatorio per l’intera comunità religiosa”..
  5. Questi pochi brani stralciati dalla sentenza sono la conferma di quanto la comunità ecclesiale aveva già pensato e detto sui motivi dell’uccisione di Padre Puglisi.
    È stato ucciso perché sacerdote, perché sacerdote coerente e fedele secondo il cuore di Dio, perché impegnato nell’annuncio del Vangelo e nel suo dovere di educatore, di guida, di pastore.
    È stato ucciso perché con la sua silenziosa ma efficace azione pastorale sottraeva le nuove generazioni alle aggressioni della mafia. Divenuto, come Gesù, segno di contraddizione, è stato oggetto di amore da parte di coloro che sono al servizio dell’amore e della vita e di odio da parte di quanti sono al servizio dell’odio e della morte.
    L’odio al suo zelo pastorale, alla sua opera di evangelizzazione e di formazione delle coscienze soprattutto giovanili, il suo impegno preferenziale per gli ultimi che è parte integrante dell’evangelizzazione, non è semplicemente l’odio a un Sacerdote: è l’odio a Cristo, è l’odio alla Chiesa, è l’odio al Vangelo, è l’odio alla fede.
    La sua testimonianza ha il profumo del martirio. Riconoscere il martirio per la fede spetta solo alla suprema Autorità della Chiesa. Ma io, come Pastore della Chiesa Palermitana, non posso non auspicare che questo – con i tempi e le modalità previste dalle norme canoniche- possa avvenire a gloria di Dio, a edificazione della Chiesa palermitana, a incoraggiamento del Clero, a sostegno di quanti lavorano per il riscatto della Città e anche come invito alla conversione dei mafiosi e di quanti operano il male. Non è un semplice auspicio, è una speranza.
    E sono lieto di comunicare che la Facoltà teologica di Sicilia ha pensato a organizzare per il 13 novembre una Giornata di studio su “Il presbitero Don Pino Puglisi: tra ministero e martirio” con l’obiettivo di avviare una riflessione organica sulla figura e sull’opera di Don Pino, dal punto di vista privilegiato della sua collocazione ecclesiale, precisamente in quanto presbitero della nostra Chiesa locale. Voglio sperare che tutta la comunità diocesana ne sia coinvolta e interessata.
  6. Ed ora insieme con Maria Addolorata, uniamoci al sacrificio eucaristico del Figlio suo, dal quale il Cardinale Carpino e Don Puglisi hanno tratto quotidianamente l’alimento della carità pastorale con cui hanno offerto se stessi per la vita del mondo, e chiediamo anche noi la grazia di imitarli nell’amore al Padre che è nei cieli e nel servizio ai fratelli che sono sulla terra.

+ Card. Salvatore De Giorgi

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