Vivevi con santità le piccole grandi cose

di Antonio Raffaele

Te ne sei andato, Peppino, in silenzio, senza farci presagire che correvi gravi pericoli. Come sempre, senza fare sentire la tua presenza fisica.

Anche il tuo assassino non ti ha guardato. Temeva che l’incontro con i tuoi occhi, penetranti e sinceri, potesse cambiario, trasformarlo al punto da non portare a compimento l’ordine ricevuto. Ti ha colpito alla nuca ed è fuggito nel buio della notte.

Gli altri hanno suonato le sirene, acceso i fari. Vogliono fare di te un eroe di questa città, omologandoti ai tanti.

Ma tu non volevi essere un eroe. Tu eri e sei un “antieroe”, uno che non faceva di sé un mito trasfigurante la realtà. Eri e sei uno che si contrappone alla convenzionalità con cui elaboriamo fantasmaticamente gli eroi di oggi. Eri, e sei ancora per noi, profondamente incarnato in questo mondo costellato di sofferenze, soprusi, debolezze ma anche di gioiose speranze di cambiamento.

L’uomo cambia l’altro e nell’incontro, a sua volta, si cambia: il tutto in un dinamico e dialettico processo di positiva trasformazione quotidiana. Tu amavi l’incontro con la persona umana ma non eri un eroe quando dialogavi con i nostri alunni, con i bambini e i giovani di Brancaccio, con i colleghi insegnanti del tuo Liceo Vittorio Emanuele, con le persone, tante, che avevano la fortuna di incontrarti.

Eri un uomo che interpretava la sua “humanitas” come dono da donare agli altri, coerentemente col tuo essere sacerdote.

Possedevi l’arte di aiutare. Rispettavi incondizionatamente l’altro, così come egli era. Aspettavi che l’altro sapesse trovare in sé la risorsa per migliorarsi, per cambiare, per risolvere un problema.

Le “piccole virtù”, quelle del quotidiano, quelle ormai dimenticate da una società massificata e omologante, quelle insegnateci con saggezza da papà e mamma, dai nostri insegnanti e maestri di vita umana e spirituale, quelle “piccole virtù”, che sono le “grandi virtù” dell’uomo vero, fanno di te, oggi, il nuovo simbolo.

Poco conta che gli altri, molti, tendano oggi a innalzare vessilli, a erigere lapidi o statue, ad annoverarti nel “pantheon” degli eroi terreni, come tanti, con un riduzionismo della tua opera etichettata, meritatamente, come lotta antimafia.

Tu ci hai insegnato come vivere intensamente e con tensione spirituale la “quotidianità” apparentemente comune. Ce lo hai insegnato, più che con le parole, con i fatti, vivendo in santità le “piccole” cose, il tuo essere nel mondo. Chi vive veramente in santità non può non scontrarsi/incontrarsi con la nuova barbarie della società violenta e mafiosa. E con gli uomini di questa società malata volevi dialogare. E’ per questo che hai sconvolto la mente e le “mappe cognitive” di coloro che, abituati ad essere combattuti dagli “eroi” terreni dell’antimafia, hanno capito, questa volta, che la pericolosità di chi vive e porta il Vangelo è più grande di quella che proviene dalla repressione della legge.

L’hanno capito talmente bene che ti hanno risposto con sintonia di codice espressivo: niente spettacolarità, niente Kalashnikof. Tra il buio della notte, ti hanno martirizzato con un colpo secco alla nuca. Senza guardarti negli occhi.

ANTONIO RAFFAELE
(Preside del Liceo V.E.II)

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