Padre Puglisi “Operaio del Vangelo”
di Lia Cerrito
Perché Caino uccise Abele? Perché Abele è la coscienza.
Il delinquente, infatti, uccidendo l’uomo mansueto, tenta di uccidere la propria coscienza. Il giusto, il mansueto è un pungolo, è un morso a quel barlume di coscienza che rimane anche nel cuore più indurito; è un intralcio – per il fatto di operare con coerenza – alle trame e ai programmi delittuosi.
Ma “il sangue del tuo fratello grida a me dalla terra”, dice Dio. Ed è difficile farlo tacere.
Quei “signori” che hanno tentato di soffocare quella “voce della coscienza” che è stato il nostro “Tre P”: Padre Peppino Puglisi, le hanno dato una risonanza che non pensavano e l’hanno fatta rintronare nelle profondità di molti cuori, al di là di Brancaccio, Palermo e la Sicilia.
Lo hanno tolto dall’ombra, dove Padre Puglisi operava senza enfasi, senza retorica, ma con la tenace determinazione dell’operaio del Vangelo, impegnato a “fare” una realtà come Dio la vuole, e lo hanno messo in piena luce.
Adesso sì, è diventato un simbolo, un punto di riferimento inequivocabile. Dovremmo dire “grazie” agli assassini perché ci hanno dato l’occasione di misurare quanto fosse grande la statura di questo umile prete? Perché eliminando uno ne suscitano cento, non impauriti ma incoraggiati dalla sua morte gloriosa, a continuare la sua opera? Loro se la vedranno con Dio, noi sappiamo che il sangue dei martiri è seme di nuovi cristiani, e ci appropriamo delle parole di Martin Luter King:
“Si stancheranno prima loro di pestarci e di ucciderci che noi di resistere e di operare…”
La Presenza del Vangelo ha fatto un lungo cammino con Tre P. Da prima degli anni settanta.
Abbiamo lavorato con lui all’istituto Roosevelt, nelle zone terremotate del Belice (Montevago), nella parrocchia di Godrano (eravamo colleghi alla scuola media Archimede, quando ci comunicò che sarebbe andato come parroco a Godrano dove c’era tanto odio tra le famiglie. Gli dissi: “gli amici dei miei amici sono amici miei”, le staremo vicini); nei Cenacoli del Vangelo, negli incontri giovanili, nei convegni e nel Consiglio centrale del Movimento.
Gli siamo grati perché ha intitolato il “Centro di Accoglienza” di Brancaccio al “Padre Nostro”. Infatti, circa due anni fa, mentre mi comunicava il suo progetto di una “casa” da dove si potesse operare per una promozione della zona, disse: “La chiameremo… – guardò il fascicoletto del “Cenacolo del Pater” che gli avevo messo in mano in quel momento – ecco, la chiameremo “Padre nostro”.
Grazie, nostro mansueto Abele, martire del vangelo vissuto!
Tratto dal mensile del Collegium dei Tarsicii di Palermo – N.20 Domenica 31 ottobre 1993