Giuseppe Puglisi
L’azione pastorale informata dalla Parola

di don Mario Torcivia
Assemblea Pastorale Diocesana
22/10/2013

Il beato Giuseppe Puglisi è appartenuto a quella schiera di presbiteri che, pur formati e ordinati prima del Concilio Vaticano II, hanno preso sul serio le indicazione conciliari e hanno impostato la loro vita e il loro ministero seguendo e mettendo in pratica le suddette indicazioni. Tra queste, una delle più importanti è, senza dubbio, quella riguardante la centralità della Parola di Dio nella vita della Chiesa (cf. Dei Verbum). Tale acquisizione si è sposata felicemente con quanto già avvertito personalmente da p. Puglisi, un vero innamorato della Parola, e con quanto esperito nel movimento ecclesiale Crociata del Vangelo (ora Presenza del Vangelo), al cui centro si situa proprio l’incontro dei partecipanti ai cenacoli con la Parola di Dio, letta e commentata.

Da pastore, p. Puglisi ha realizzato pienamente quanto scritto da Papa Benedetto XVI nella Verbum Domini, l’Esortazione Postsinodale sulla Parola di Dio nella vita e nella missione della Chiesa (30 settembre 2010), al n. 72…:

la vita cristiana è caratterizzata essenzialmente dall’incontro con Gesù Cristo che ci chiama a seguirLo. Per questo il Sinodo dei Vescovi ha più volte ribadito l’importanza della pastorale nelle comunità cristiane come ambito proprio in cui percorrere un itinerario personale e comunitario nei confronti della Parola di Dio, così che questa sia veramente a fondamento della vita spirituale. Insieme ai Padri sinodali esprimo il vivo desiderio affinché fiorisca «una nuova stagione di più grande amore per la sacra Scrittura da parte di tutti i membri del Popolo di Dio, cosicché dalla loro lettura orante e fedele nel tempo si approfondisca il rapporto con la persona stessa di Gesù».

… e al n. 73:

il Sinodo ha invitato ad un particolare impegno pastorale per far emergere il posto centrale della Parola di Dio nella vita ecclesiale, raccomandando di «incrementare la “pastorale biblica” non in giustapposizione con altre forme della pastorale, ma come animazione biblica dell’intera pastorale» (nota 254: Propositio 30; Cfr Conc. Ecum. Vat. II, Cost. dogm. sulla divina Rivelazione Dei Verbum, 24). Non si tratta, quindi, di aggiungere qualche incontro in parrocchia o nella diocesi, ma di verificare che nelle abituali attività delle comunità cristiane, nelle parrocchie, nelle associazioni e nei movimenti, si abbia realmente a cuore l’incontro personale con Cristo che si comunica a noi nella sua Parola. In tal senso, poiché l’«ignoranza delle Scritture è ignoranza di Cristo» (nota 255: S. Girolamo, Commentariorum in Isaiam libriProl.: PL 24, 17 B.) l’animazione biblica di tutta la pastorale ordinaria e straordinaria porterà ad una maggiore conoscenza della persona di Cristo, Rivelatore del Padre e pienezza della Rivelazione divina.

Nel mio intervento, più che trattare delle singole realizzazioni – che ci sono state (i cenacoli e le missioni a Godrano, i campi vocazionali, gli incontri biblici a Brancaccio, i tanti ritiri predicati ponendo al centro la Sacra Scrittura, ecc.), ma che sono sempre frutto dell’unicità e irripetibilità della persona che le compie e del preciso momento storico in cui vengono poste – evidenzierò il profondo legame tra p. Puglisi e la Parola di Dio.

P. Puglisi si è nutrito personalmente e comunitariamente della Parola di Dio e da questa si è lasciato guidare nelle personali scelte di vita e nelle singole realizzazioni pastorali. 2Tm 3,16 ci ricorda come «Tutta la Scrittura, ispirata da Dio, è […] utile per insegnare, convincere, correggere ed educare nella giustizia, perché l’uomo di Dio sia completo e ben preparato per ogni opera buona». Non sapremo mai – ed è giusto e saggio che sia così – cosa abbia vissuto p. Puglisi nei momenti personali di incontro con la Parola di Dio. Ma possiamo certamente dire qualcosa su ciò che è stato sotto gli occhi di tutti. Gesù ci dice che «un albero buono non può produrre frutti cattivi» (Mt 7,18). E i frutti di un uomo che si è abbeverato continuamente alla Sacra Scrittura non possono che essere – come d’altra parte sono stati – buoni. La Parola di Dio, infatti, forma, modella, plasma, conforma al Cristo al punto da avere «gli stessi sentimenti che furono in Cristo Gesù» (Fil 2,5) o, come dice, morente, Antonio il grande ai suoi monaci, in modo tale da respirare sempre Cristo (cf. Vita Antonii, 91). Per questo, come insegna il beato Ch. de Foucauld, bisogna «Leggere e rileggere incessantemente il Santo Vangelo per avere sempre dinanzi lo spirito, gli atti, le parole, i pensieri di Gesù, per parlare, pensare, agire come Gesù e seguire gli insegnamenti di Gesù, e non gli esempi e i modi di fare del mondo, ai quali torniamo rapidamente non appena stacchiamo gli occhi dal Modello Divino» (Lettera a mons. Joseph Hours, maggio 1912). La storia della Chiesa ci dice che ogni qualvolta ci si è allontanati dal Vangelo, si è seguita più facilmente la mentalità del mondo, che cattura sempre. È la mondanità spirituale, di cui ha Papa Francesco, ad Assisi, lo scorso 4 ottobre, ha invitato la Chiesa tutta a spogliarsi.

Parlare dell’azione pastorale di p. Puglisi informata dalla Parola di Dio per me non significa, ribadisco, presentare le varie realizzazioni – vuoi anche perché teologo spirituale e non teologo pastoralista – ma evidenziare come la Parola non può che essere il nutrimento del credente. O come dice Verbum Domini 86: «La Parola di Dio, infatti, sta alla base di ogni autentica spiritualità cristiana». Anche di quella, e direi meglio, innanzitutto, dei ministri ordinati. Tutte le altre modalità (devozioni, ricerca di realtà percepibili ai sensi, e quant’altro) possono certamente servire, ma non possono sostituirsi alla Parola di Dio, perché è Essa che struttura, è Essa il nutrimento solido (cf. 1Cor 3,2) della vita spirituale cristiana.

Accostarsi quotidianamente, in modo orante, alla Scrittura significa farsi scavare, modellare e giudicare dalla Parola: «Infatti la parola di Dio è viva, efficace e più tagliente di ogni spada a doppio taglio; essa penetra fino al punto di divisione dell’anima e dello spirito, fino alle giunture e alle midolla, e discerne i sentimenti e i pensieri del cuore. Non vi è creatura che possa nascondersi davanti a Dio, ma tutto è nudo e scoperto agli occhi di colui al quale noi dobbiamo rendere conto» (Ebr 4,12). La Parola di Dio, pertanto, giudica i nostri pensieri, le nostre scelte, in una parola, la nostra vita. Ed allora una vita informata dal Vangelo ha comportato per p. Puglisi, dal punto di vista personale, una vita sobria, semplice, umile, povera, ricca di fede, speranza e carità, schiva e lontana da titoli e decorazioni di qualunque tipo e forma e da qualunque parte arrivino, dal punto di vista pastorale, un’azione tesa all’edificazione del Regno di Dio e, quindi, un’azione diuturna e indefessa nei riguardi delle donne e degli uomini incontrati. Questa è stata l’opera di evangelizzazione e promozione umana a sostegno delle persone bisognose, opera vissuta da p. Puglisi nella marginalità. Sappiamo tutti come, quando era vivo, a parte chi lo conosceva e chi lo collaborava, nessuno aveva cognizione di questa sua feconda opera di evangelizzazione. Ma Dio vede e ricompensa a suo modo: col dono del martirio.

Quanto a noi, non si tratta di imitare pedissequamente le modalità concrete realizzate da p. Puglisi perché ognuno di noi deve chiedere al Signore la necessaria intelligenza spirituale e pastorale per comprendere come e cosa realizzare perché realmente la Parola di Dio sia al centro dell’azione pastorale. Si tratta però di assumere come modello – «con i fatti e nella verità» (1Gv 3,18) – uno stile di vita personale e di azione pastorale che ponga veramente al centro il Vangelo di Gesù Cristo. Altrimenti ogni nostra riflessione, e innanzitutto la mia, di stasera, è e sarà soltanto un parlarci addosso, brandendo come vessillo p. Puglisi.

Parlare di azione pastorale informata dal Parola significa anche riconoscere che, quando questo accade, quando cioè un presbitero pone in atto quest’azione, allora possiamo parlare del ministro ordinato come di un vero e proprio profeta. Ed allora, mi viene in mente Amos.

Ma chi è il profeta? Ascoltiamo Am 3,8: “Il Signore Dio ha parlato chi può non profetare?”.

Per questo un pecoraio (1,1) e raccoglitore di sicomori (7,14) diventa profeta e p. Puglisi – nel 1990 direttore del Centro Diocesano Vocazioni, che sembrava avere concluso definitivamente l’esperienza parrocchiale, per l’ottimo e necessario lavoro svolto e che svolgeva, fino al nuovo incarico ecclesiale, nel campo vocazionale diocesano,  regionale e nazionale – torna a fare il parroco.

Amos (“I porta”) è un profeta “scrittore” dell’VIIIs, che profetizza in modo forte e radicale durante il Regno del Nord, florido e un po’ sonnolente, quando governa Geroboamo II. P. Puglisi svolge un’azione pastorale forte e radicale in un analogo momento di sonnolenza ecclesiale, quando la società era già stata abbondantemente sconvolta da tante uccisioni operate dalla mafia, le ultime delle quali, le più note a tutti, avevano interessato le vite dei giudici Falcone e Borsellino e di quanti si trovavano, sfortunatamente, con loro per affetto o per lavoro.

D’altronde è proprio nei momenti di crisi – è crisi è ogni momento di dis-attenzione umana e spirituale che viviamo, momento nel quale tutto è caligine e obnubilamento. Per questo si cammina a tentoni, senza avere chiara la meta, sicuri soltanto di una quotidianità di azioni che la vita stessa ci farà compiere – che il Signore suscita i suoi pastori perché sveglino/ridestino il popolo e la comunità ecclesiale addormentati. E lo fa a volte con un linguaggio dai toni forti (Amos), altre (p. Puglisi), attraverso una coerenza di vita e un’azione pastorale diuturna e continua, analoga forma di linguaggio dai toni forti e franchi, profondamente intrisi di parrhesia, di franchezza evangelica. E questo perché ci si converta, si cambi strada, si abbandoni una condotta di vita che non è secondo il Signore e il bene dell’uomo: “Cercate il bene e non il male, se volete vivere, e così il Signore, Dio degli eserciti, sia con voi, come voi dite. Odiate il male e amate il bene […]” (5,14).

Amos (4,4-5 e 5,4-6) si scaglia contro un rituale religioso fatto soltanto di adorazione di labbra. P. Puglisi riesce a cambiare la gestione delle processioni del santo patrono, che non ha nulla di fede cristiana e molto di controllo di territorio da parte dei mafiosi. Ma anche dal punto di vista ecclesiale p. Puglisi “sveglia” la comunità cristiana, quando, paga soltanto di ritualismo liturgico, dimentica come il culto deve essere vissuto/inverarsi nella vita e nelle scelte quotidiane. Il culto posto in atto da p. Puglisi interroga/giudica così le tante celebrazioni liturgiche delle nostre comunità, spesse volte asettiche e avulse dal contesto concreto del territorio nel quale insiste la parrocchia.

Amos denuncia la condizione di ingiustizia nella quale i potenti costringono il povero, le persone meno abbienti a vivere: “hanno venduto il giusto per denaro e il povero per un paio di sandali” (2,6). P. Puglisi fa notare la condizione estremamente disagiata in cui versa la popolazione del quartiere Brancaccio, dove esiste anche la prostituzione infantile perché si possa racimolare un po’ di denaro per lenire la condizione di estrema povertà in cui alcune famiglie vivono.

Tutto questo modo di parlare e fare – caso molte volte raro di piena sintonia tra parola e azione – la denuncia dei profeti, antichi e contemporanei, non nasce da sciatto moralismo o da freddo legalismo, ma emerge dalla profonda consapevolezza della dignità dell’uomo – qualunque uomo – che, sempre e ovunque, va difesa e fatta conoscere ai più anche attraverso i mass media proprio perché ci si renda conto dell’ingiustizia e ci si adoperi per un cambiamento reale delle condizioni di tanta gente povera.

C’è una sana ed evangelica indignazione che deve prendere chiunque ha a cuore la fede cristiana: è quella che ha a che fare con lo spettacolo della pubblica ingiustizia e del sopruso e sfruttamento dei nostri fratelli. E questa indignazione diventa denuncia attraverso il porre in atto comportamenti opposti a quelli ingiusti e attraverso la chiamata alla responsabilità dei tanti che spesso rimangono alla finestra, muti osservatori di quanto avviene nelle strade delle nostre città. E tra questi, in prima fila, i tanti politici corrotti che sia al tempo di Amos (“Guai agli spensierati di Sion e a quelli che si considerano sicuri sulla montagna di Samaria! Questi notabili della prima delle nazioni, ai quali si recano gli israeliti”, 6,1) che al tempo di p. Puglisi (i consiglieri di Quartiere di Brancaccio, pedine dei mafiosi, e in qualche caso mafiosi essi stessi).

E come Amos – il redattore finale del testo – conclude il libro della sua profezia con un’immagine di speranza (“In quel giorno rialzerò la capanna di Davide, che è caduta; ne riparerò le brecce, ne rialzerò le rovine, la ricostruirò come ai tempi antichi […], 9,11), così p. Puglisi, e ogni credente che parla in nome di Dio, apre il cuore dei fratelli ad un futuro altro da quello odierno, perché Dio non abbandona il suo popolo e lo fa attraverso altre menti, altre braccia, altri cuori che proseguono l’opera iniziata dal profeta. Perché l’opera di Dio non è mai di un singolo, ma sempre del popolo del Signore, della comunità ecclesiale, chiamata ad essere sacramento, segno e strumento dell’amore di Dio per l’uomo.

Termino con un ricordo e uno scritto.

Il ricordo lo conserviamo i tanti che abbiamo conosciuto p. Puglisi ed è l’immagine nitida della piccola Bibbia di Gerusalemme che portava sempre con sé. Tale Bibbia non era un complemento di arredo della persona, ma l’epifania del suo profondo radicamento scritturistico per cui, anche materialmente, la Bibbia era sempre con lui. Potremmo dire che p. Puglisi non si leggeva fuori dalla Sacra Scrittura.

Lo scritto è ancora la Verbum Domini, il n. 80, paragrafo nel quale Papa Benedetto XVI, cita per ben due volte la Pastores dabo vobis (25 marzo 1992) del beato Giovanni Paolo II, di cui celebriamo oggi la memoria liturgica:

Anche riguardo ai sacerdoti vorrei richiamare le parole del Papa Giovanni Paolo II, il quale nell’Esortazione apostolica postsinodale Pastores dabo vobis ha ricordato che «il sacerdote è, anzitutto, ministro della Parola di Dio, è consacrato e mandato ad annunciare a tutti il Vangelo del Regno, chiamando ogni uomo all’obbedienza della fede e conducendo i credenti ad una conoscenza e comunione sempre più profonde del mistero di Dio, rivelato e comunicato a noi in Cristo. Per questo, il sacerdote stesso per primo deve sviluppare una grande familiarità personale con la Parola di Dio: non gli basta conoscerne l’aspetto linguistico o esegetico, che pure è necessario; gli occorre accostare la Parola con cuore docile e orante, perché essa penetri a fondo nei suoi pensieri e sentimenti e generi in lui una mentalità nuova – “il pensiero di Cristo” (1Cor 2,16)» (nota 266: N. 26: AAS 84 (1992), 698). Conseguentemente, le sue parole, le sue scelte e i suoi atteggiamenti devono essere sempre più una trasparenza, un annuncio ed una testimonianza del Vangelo; «solo “rimanendo” nella Parola, il sacerdote diventerà perfetto discepolo del Signore, conoscerà la verità e sarà veramente libero» (nota 267: Ibidem). 

Quanto i due Papi scrivono sul presbitero trasparenza, annuncio e testimonianza della Parola, perché “rimane” in essa, può essere benissimo predicato di p. Puglisi, che ha conosciuto la Verità e ha realizzato la sua profonda libertà – la Parola di Dio incarnata dal credente, infatti, non è mai incatenata (cf. 2Tm 2,9) – al punto da consegnare la vita. Perché al martire, agli occhi del mondo, viene strappata la vita, ma per chi crede, ogni martire consegna liberamente la propria esistenza, ad immagine di Colui che, dopo la Cena, liberamente e per amore, consegnò se stesso per noi uomini: Cristo Gesù, Parola del Dio vivente e Signore nostro.

don Mario Torcivia
Ordinario di Teologia spirituale
Studio Teologico S. Paolo – Catania


Tratto da “Quaderni Biblioteca Balestrieri” N.17  1-2014

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