FICARRA E PICONE
SPIEGANO L’OMAGGIO A PADRE PUGLISI

I due comici palermitani raccontano come è nata l’idea del famosissimo sketch sullo “Zio Pino” che amava tutti,  anche i suoi assassini, andato in scena al Festival di Sanremo 2007 e che riscuote sempre un grande successo.

di Francesco Deliziosi

«Amava tutti, amò anche il suo assassino». E’ il marzo 2007: irrompe con una forza inaspettata, padre Pino Puglisi, nello spettacolo di Ficarra & Picone in scena al Teatro Ariston. Davanti alla platea di Sanremo, davanti a milioni di telespettatori, rivive a sorpresa il sorriso del sacerdote di Brancaccio. Il suo ultimo sorriso davanti al killer che lo uccise, sotto casa, nel settembre ’93. E fa piacere ricordare questo ormai storico sketch il giorno dopo l’anniversario dell’omicidio, quando politici e comparse hanno sgomberato il campo e a Brancaccio, a Palermo, la vita sembra tornata alla normale routine.

Nel marzo 2007, la mafia e l’antimafia piombarono tra lustrini e paillettes, nel bel mezzo del festival simbolo della canzonetta italiana, icona dell’insostenibile leggerezza che pervade per cinque serate il Belpaese. E, paradosso nel paradosso, sono stati proprio due palermitani – e due comici per giunta – a fare scaturire un momento di grande commozione, un segno di speranza in più.  Lo testimoniarono gli applausi scroscianti al termine dello sketch, quasi a sottolineare in silenzio che la memoria vince la morte: «Per don Puglisi non si tratta, infatti, di morte ma di parto, di una nuova nascita», dicono Salvo Ficarra e Valentino Picone ricordando il sacerdote mite, eliminato perché con la forza del Vangelo allontanava bambini (e adulti) dai tentacoli della Piovra.

Lo sketch da qualche anno si impone, attraverso i teatri e la tv, in giro per l’Italia, negli occhi e nel cuore degli spettatori. Su Facebook il video viene rilanciato migliaia di volte.

L’idea di proporre a Sanremo l’omaggio per don Puglisi era venuta a Pippo Baudo. Ai due «nati stanchi», invece, il merito della paternità della scelta. In partenza (anno 2004), era una trovata rischiosa, da far tremare le gambe. Ma la realizzazione, vista anche al Festival, conferma un fatto: i due ragazzi che cominciarono calpestando il palcoscenico del Crystal a Pallavicino sono oggi i comici italiani più amati. Di più, sono comici seri: di quelli che riescono a farti ridere e pensare insieme.
In origine lo sketch chiudeva lo show «Son cose che capitano», visto al Golden di Palermo e poi, sull’onda del successo, persino al Parioli di Roma. Ficarra e Picone si erano documentati, contattando chi ha conosciuto don Pino, tra cui chi scrive. Lavorando sodo sul dialogo: «Non volevamo – spiegano – strumentalizzare questa bellissima figura. Conosciamo la sua vicenda, abbiamo letto la sua biografia, da tempo volevamo dedicargli un passaggio in uno spettacolo». Salvo Ficarra sottolinea: «Il testo, che inizia a parlare in modo un po’ strano di questo ”zio Pino“, ha suscitato curiosità nelle città del Nord. Alla fine arriva sulla scena il nome completo. Ed è uno choc. C’è sempre un’esplosione di applausi, molta gente si alza in piedi».
Da un lato si rievocano «le sue orecchie a sventola, i grandi piedi, le grandi mani», dall’altro compare la pistola, il proiettile, l’assassino: «Sorrise, amò anche lui. E disse me l’aspettavo». Gli elementi di una storia semplice e feroce ci sono tutti: «Non era un prete antimafia – dice ancora Ficarra – Non ha senso appiccicargli questa etichetta. Era un prete e basta. Un prete che amava la sua gente e voleva liberarla dall’oppressione della mafia. Ma la sua unica arma era l’amore». Per Valentino Picone un motivo di orgoglio in più, visto che lui padre Puglisi l’aveva conosciuto tra i banchi del liceo classico Vittorio Emanuele II.
Marzo 2007. Da quel momento un pezzo della Palermo che cambia va di nuovo in giro per l’Italia. Certo, non dimentichiamo l’emergenza che rimane: i delitti tra la folla, di fronte agli occhi dei bambini, il racket e gli attentati, le inchieste antimafia che coinvolgono i Palazzi della politica, i colletti bianchi e i manovali.
Ma quel sorriso di don Pino è un segno di speranza in più. Parafrasando un altro famoso duetto di Ficarra & Picone, «ci vergogniamo di essere palermitani» quando ancora di Palermo si parla – nel mondo – per la violenza della mafia. Ma pensando a chi ha dato la vita per una città nuova, abbiamo in bocca il sapore, la poesia e «la fierezza di essere palermitani».

Fonte: blog beatopadrepuglisi.it

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