XX ANNIVERSARIO
DEL MARTIRIO DEL BEATO GIUSEPPEPUGLISI

Chiesa Cattedrale 15-09-2013

1. “Niente lo ha fermato: né morte, né vita, né presente, né futuro, niente e nessuno ha potuto impedire il suo grande amore per Dio, che diventava, come deve essere per ogni cristiano, interesse, solidarietà, servizio per quanti hanno bisogno di essere aiutati nel corpo e nello spirito”.

Così si esprimeva il Cardinale Salvatore Pappalardo ai funerali di don Pino Puglisi, vent’anni fa, davanti a una folla incredula per l’accaduto. Eppure, si percepiva la profonda convinzione che quella tragedia significasse qualcosa di più di una barbara uccisione. Il tempo avrebbe fatto maturare la coscienza ecclesiale per riconoscere, passo dopo passo, che dalla morte di don Pino sarebbe scaturita una fecondità senza precedenti: quella del martirio, ossia della testimonianza della fede in Cristo e della fedeltà al suo Vangelo d’amore, fino a dare la vita, fino all’effusione del sangue.

Oggi don Pino può essere invocato nella Chiesa come ‘beato’. Alle parole del Cardinale Pappalardo fanno eco quelle pronunciate dal Santo Padre Francesco nell’Angelus del 26 maggio scorso: “Educando i ragazzi secondo il Vangelo li sottraeva alla malavita, e così questa ha cercato di sconfiggerlo uccidendolo. In realtà, però, è lui che ha vinto, con Cristo Risorto”.

Padre Puglisi ha vinto. Ma la sua vittoria non è fondata sulle sue sole forze: è la vittoria di Gesù che risplende nella sua vita, vissuta ogni giorno come donazione fino al suo epilogo, quella sera del 15 settembre 1993. Ed oggi, in modo semplice eppure intenso, siamo venuti per proclamare questa vittoria di don Pino proprio da questo luogo di apparente sconfitta. Dal Piazzale Anita Garibaldi la mafia ha provato ad assassinare il sogno di don Pino e di quelli che come lui erano stati coinvolti nella costruzione del futuro di questo quartiere. Ma da questa piazza don Pino ha cominciato a parlare in modo nuovo, e il suo annuncio evangelico ha continuato a vivere in coloro che, a vario titolo, ne hanno raccolto la provocazione e l’eredità.

Nessun sogno si è fermato! Il Beato Pino Puglisi ha vinto! Della stessa vittoria di Gesù, morto e risorto! È vero: niente lo ha fermato, nemmeno la morte.

Secondo i mandanti del suo esecrabile assassino avrebbe dovuto essere l’ultima parola, ed invece è divenuta martirio, testimonianza dell’amore di Dio fino alla fine, fino al sorriso finale, fino alla consegna inerme e fiduciosa nelle mani del suo killer.

2.Fu sempre il Cardinale Pappalardo a considerare don Pino una “sentinella di Dio in una trincea avanzata”. Il Beato Puglisi fu sentinella disponibile innanzitutto ad ascoltare la voce di Dio, a dialogare con lui per il bene del popolo confidato alle sue cure pastorali. La prima lettura di questa domenica ci ha presentato l’esempio di Mosè che intrattiene con il Signore un dialogo fiducioso e amicale, capace addirittura “così si esprime il testo” di far “pentire” Dio, cioè di fargli cambiare atteggiamento nei confronti di Israele, di aprire per il popolo eletto nuovamente una strada di salvezza e di perdono, di riscatto e di libertà.

Il Beato Puglisi, da “pastore secondo il cuore di Gesù” (cfr. Lettera Apostolica di papa Francesco per la Beatificazione), fece partire la sua azione di evangelizzazione e promozione umana, da un ascolto costante della Parola, dal dialogo con il Dio misericordioso che sempre offre nuova possibilità di vita.

E non si risparmiò nell’annunciare, in ogni occasione, che Dio opera cose nuove in coloro che si rendono disponibili, e apre cammini nel deserto della vita.

Con San Paolo, il Beato Giuseppe Puglisi certamente rende grazie “a colui che lo ha reso forte”, Cristo Gesù, suo Signore, e che lo ha giudicato “degno di fiducia” mettendolo al suo servizio, usandogli per questo misericordia. Con una mansuetudine e una purezza di cuore da tutti riconosciute, la sua azione fu sempre testimonianza di ciò che, a sua volta, aveva ricevuto e conosciuto primariamente se stesso: “Mi è stata usata misericordia, dice San Paolo, e così la grazia del Signore nostro ha sovrabbondato insieme alla fede e alla carità” (cfr. 1Tm 1,13-14).

3.Sentinella e pastore, infaticabile seminatore di pace e di giustizia, don Pino annunciò la misericordia di Dio, non in modo teorico o spiritualistico, piuttosto nella concretezza del territorio che, nelle sue povertà, si mostrava ferito dalle conseguenze del peccato, dalle scelte dell’uomo che, pur vedendo il bene da compiere, sceglie il male capace di rubare la dignità e il futuro specialmente ai piccoli e ai poveri.

Ciò che caratterizza l’Uomo Gesù”‘ diceva “è la tenerezza; una tenerezza umana sconvolgente, Gesù ama tutte le persone che incontra, fosse anche il suo peggiore nemico. Era un individuo di una tenerezza umana fuori dal comune, con un cuore compassionevole e indulgente di fronte alla debolezza umana, pronto a perdonare tutto”.

Parole che ancora una volta ritroviamo nel messaggio su cui il Santo Padre Francesco sta focalizzando in questi primi mesi del suo pontificato: “Un Dio che si fa vicino per amore, cammina con il suo popolo e questo camminare arriva ad un punto che è inimmaginabile. Mai si può pensare che lo stesso Signore si fa uno di noi e cammina con noi, rimane con noi. E questa è vicinanza: il pastore vicino al suo gregge, vicino alle sue pecorelle, che conosce una ad una”. E ancora: “Tenerezza! Ma il Signore ci ama con tenerezza. Non ci ama con le parole. Lui si avvicina, vicinanza, e ci dà quell’amore con tenerezza. Vicinanza e tenerezza! Queste due maniere dell’amore del Signore che si fa vicino e dà tutto il suo amore con le cose anche più piccole: con la tenerezza. E questo è un amore forte, perché vicinanza e tenerezza ci fanno vedere la fortezza dell’amore di Dio” (cfr. Omelia a Santa Marta, 7 giugno 2013).

Con questi atteggiamenti per riproporre la vicinanza e la tenerezza di Dio, Padre Pino cercò. Come il buon pastore cerca la pecora perduta, come la donna cerca la moneta perduta, come il padre misericordioso cerca il figlio perduto e lo attende scrutando l’orizzonte finché non ritorni. Padre Pino cercò come cerca Dio, con quello stesso infaticabile atteggiamento di chi non si può contentare di ciò che è già stato fatto se tanto ancora si può e si deve fare.

Cercò, a tal punto da coinvolgere nella sua ricerca tanta gente, specie giovani laici, che avessero a cuore il suo stesso sogno, e che ne condividessero l’entusiasmo.

Ecco la sua azione caritativa, di sostegno più fragili, e tra questi i bambini. Ecco il “Centro di accoglienza Padre Nostro”, motore di una promozione evangelicamente sociale, testimonianza di una comunità parrocchiale che intendeva farsi carico delle povertà del quartiere.

E se tanto fece nella sua giornata terrena, tanto più don Pino ha innescato all’indomani della sua morte. Morte benedetta non in quanto barbaro omicidio, piuttosto in quanto fulgido martirio, testimonianza della vita donata per amore che ha creato attorno a sé quel benefico movimento centrifugo di azione evangelizzatrice e di promozione umana che ancora oggi continua e deve continuare in tante molteplici forme, ma tutte in un dialogo fecondo e tutte radicate nella testimonianza di fede per la quale don Pino non esitò a dare la vita.

4.Certo, tanto ancora si può e si deve fare. La nostra Chiesa, soprattutto oggi che ‘eredita’ il martirio di don Pino, ha il dovere di confrontarsi con la sua pastorale, intesa non come un complesso sistema di iniziative e, a volte, di sperimentazioni, ma come uno stile semplice ed essenziale, che vada dritto al contenuto dell’amore di Dio da comunicare e della novità dell’uomo da costruire. Il Beato Puglisi ci lascia il suo modo concreto di essere pastore, di andare incontro alle reali esigenze del gregge, e di tutte e singole le pecore, fino a cercare quelle disperse per ricondurle sui sentieri di giustizia e di pace.

E più ancora tutti abbiamo bisogno di confrontarci con l’offerta martiriale di don Pino, intesa come proposta di conversione del cuore a tutti i livelli. Ai funerali di vent’anni fa, sempre il Card. Pappalardo ebbe a dire: “Occorre lavare il sangue di P. Puglisi. Occorre lavare, nel suo sangue, la propria coscienza. Non basta gettare” come è stato fatto “qualche secchio di acqua sul terreno che ne era inzuppato, ma occorre un’altra forma di lavacro, un’altra azione purificatrice della propria coscienza e della propria vita. E questo dalla parte di tutti”.

Questa purificazione è quella che ci richiede la nostra fede, perché sia autentica davanti a Dio e credibile davanti al mondo: perché si compia in azione di carità che promuova e, sempre più, faccia costruire il Regno di Dio in mezzo agli uomini.

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