OMELIA DELL’ECC.MO ARCIVESCOVO DURANTE LA CELEBRAZIONE EUCARISTICA NEL 3° ANNIVERSARIO DELL’UCCISIONE DI DON GIUSEPPE PUGLISI Cattedrale 16 settembre 1996
Nella preghiera colletta abbiamo lodato il Signore che ha dato al suo popolo i Santi Cornelio e Cipriano, pastori generosi e martiri intrepidi, e abbiamo chiesto che con il loro aiuto siamo resi forti e perseveranti nella fede per collaborare assiduamente all’unità della Chiesa. Forti e perseveranti nella fede noi cristiani dobbiamo essere anzitutto per essere in pace con Dio, come ci ha ricordato S. Paolo nella seconda lettura, e vivere così nella speranza che non delude e nella carità, che è l’amore stesso di Dio riversato nei nostri cuori col dono dello Spirito, fonte dell’unità della Chiesa, della quale tutti siamo insieme destinatari e artefici. Saremo così forti anche nelle tribolazioni, certi, come abbiamo ripetuto nel Salmo responsoriale, che «il Signore è con noi nell’ora della prova». S. Pietro, nel Canto al Vangelo ci ha rivolto la più viva esortazione al coraggio e alla speranza: «Non vi sgomentate nè vi turbate, ma adorate Cristo nei vostri cuori, pronti a rendere ragione della speranza che è in voi». L’esortazione del primo Papa non è altro che una riproposizione di quanto Gesù ci ha detto nel Vangelo. A noi suoi discepoli egli non ha promesso giorni facili e sereni. Subiremo persecuzioni: ma non dobbiamo temere. La nostra fragilità è sostenuta dalla forza dello Spirito del Padre. Saremo odiati a causa del suo nome, ma, se persevereremo sino alla fine, saremo salvi. Noi dobbiamo credere alla promessa del Signore come hanno creduto i martiri S. Cornelio Papa e S. Cipriano Vescovo; come ai nostri giorni, qui, fra noi, ha creduto P. Giuseppe Puglisi. E solo se si crede alla sua Parola, si resta fedeli a lui, senza badare alla propria vita, sino al martirio, che è la testimonianza più alta della fedeltà.
L’invito alla fedeltà, al coraggio, alla speranza P. Puglisi ci rivolge questa sera, mentre facciamo nell’Eucaristia la memoria, di lui a tre anni dalla sua sacrilega uccisione da parte della mafia. È la memoria anzitutto di un sacerdote esemplare di questa Santa Chiesa di Palermo, di un sacerdote fedele alla grazia dell’Ordinazione, e perciò pienamente convinto di essere l’uomo donato totalmente ai fratelli perché offerto totalmente a Dio. La sua gioia di essere sacerdote, anche in situazioni difficilissime e a rischio, ha accompagnato e ha reso credibile e feconda la sua azione di promotore della pastorale giovanile e vocazionale, nell’ansia di garantire al futuro della nostra Chiesa pastori secondo il cuore di Dio: un merito grandissimo che non va dimenticato. È la memoria di un evangelizzatore autentico, persuaso che il primo compito del sacerdote è quello di portare ai poveri, agli ultimi, agli emarginati il lieto annuncio della liberazione e della salvezza integrale e totale dell’uomo, che è Gesù Cristo, unico redentore dell’uomo e unico salvatore del mondo. È la memoria di un pastore che ha dato la vita pei il gregge di Cristo affidato alle sue cure, con un amore tanto più grande e generoso quanto più difficile e impervio è il territorio nel quale è stato chiamato a svolgere la sua missione. Egli non ha avuto paura. Non ha abbandonato il gregge. Ma con la forza della più profonda comprensione vocazionale, del suo ministero sacerdotale ha svolto soprattutto il ruolo di educatore dei giovani e di formatore delle coscienze, con grande coerenza e generosità pastorale. Basta leggere le lezioni tenute nei Campi-scuola per avere una conferma esaltante e stimolante. Si sente in esse palpitare il cuore del sacerdote che, nutrito quotidianamente della Parola di Dio e dal Pane di vita e plasmato dalla preghiera contemplativa, si accende di zelo apostolico soprattutto nei confronti dei piccoli e dei giovani, i prediletti del Signore, oggi, come mai, esposti alle seduzioni edoniste di una società senza anima che non li rispetta più, e alle suggestioni violente della malavita organizzata, che li strumentalizza e perfino li uccide.
Si chiedeva, don Puglisi, nella sua ultima omelia: «Vorrei conoscere e sapere i motivi che vi spingono ad ostacolare chi vuole educare i vostri figli alla legalità, al rispetto reciproco, ai valori della cultura e dello studio. Chi usa la violenza non è uomo. Chiediamo a chi ci ostacola di riappropriarsi dell’umanità». Una richiesta dal forte spessore pastorale, che non posso non far mia in questo momento di memoria. E perché la memoria non scada in semplice celebrazione emotiva, perché si eviti ogni indebita strumentalizzazione di lui, che, umile e silenzioso, fu alieno da ogni tentazione pubblicitaria e da ogni forma di protagonismo, io credo che il suo impegno di “educatore alla legalità” da noi tutti debba essere considerato come uno dei tratti più significativi della sua testimonianza sacerdotale: il prolungarlo da parte nostra è certamente il più costruttivo ricordo di lui. Educare alla legalità. È questo il titolo esigente di una nota pastorale della Commissione ecclesiale Giustizia e pace della CEI, pubblicato cinque anni fa (4-10-1991), ricco di contenuti e di prospettive ma forse non abbastanza conosciuto, diffuso, valorizzato. Riprenderne la lettura e lo studio è un dovere per tutti, pastori e fedeli: e proprio in quanto evangelizzatori e formatori delle coscienze. La Chiesa, infatti, non può non farsi carico del problema della legalità. Anzitutto perché il suo compito di evangelizzazione le impone di dare il proprio contributo, ispirato alla fede in Gesù Cristo, alla soluzione di ogni problema della comunità umana alla quale appartiene. E poi perché essa è convinta che nel problema della legalità sono in gioco non solo la vita delle persone e la loro specifica convivenza ma la stessa concezione dell’uomo.
Ed è un problema urgente. È sotto gli occhi di tutti il diffondersi della piccola e grande criminalità organizzata e non, – e non soltanto mafiosa – che impone la sua legge e il suo potere, attenta alle libertà fondamentali dei cittadini, condiziona l’economia del territorio e le libere iniziative dei singoli fino a proporsi, talvolta, come stato di fatto alternativo a quello di diritto. Nè si possono sottacere i non meno gravi fenomeni della corruzione e della concussione, o i non rari casi in cui si scambiano per favori quelli che sono autentici diritti. Di fronte a questi fenomeni non ci si può rassegnare, quasi irretiti da complessi di impotenza e di aquiescenza. Certamente le prime risposte devono essere istituzionali: non deboli e confuse, ma forti e chiare, non semplicemente declamatorie ma concrete e operative, onde evitare che la coscienza civile diventi sempre più opaca. E anche per questo occorre quella mobilitazione delle coscienze dei cittadini che ci aiuti a vincere la paura, l’omertà, il disimpegno, la collusione, i soprusi dei potenti e tutte le varie forme di illegalità. E quanto ha tentato di fare don Puglisi: e per questo è stato barbaramente eliminato.
Ma la crescita di una più viva coscienza della legalità esige anche che la formulazione delle leggi obbedisca innanzitutto alla tutela e alla promozione del bene comune e non alla contrattazione con le parti sociali più forti o peggio ancora a poteri ricattatori palesi od occulti; esige la produzione di leggi chiare, efficaci, non farraginose e di difficile interpretazione, e soprattutto moralmente valide, come non lo sono, ad esempio, quelle sul divorzio e sull’aborto: finiscono per alimentare una cultura individualistica e libertaria, e per abbassare e deformare il senso della legalità. La legge, infatti, per conservare la sua forte valenza educativa, deve avere una chiara fondazione morale, non può essere in contrasto con la legge morale. In caso contrario è legittima, anzi doverosa, l’obiezione di coscienza, in quanto bisogna obbedire piuttosto a Dio che agli uomini. Rettamente intesa e sollevata, essa assume così una connotazione morale religiosa, come attesta l’esaltante esperienza dei martiri, i quali hanno pagato con la vita la loro fedeltà a Dio in contrasto con la legge degli uomini.
L’educazione e la formazione delle coscienze alla legalità costituiscono un compito affidato alla collaborazione di tutti, ma in modo particolare della famiglia, della scuola, delle associazioni giovanili, ai mezzi di comunicazione sociale, ai movimenti culturali e di opinione, ai partiti e alle varie istituzioni pubbliche, le quali devono creare le condizioni favorevoli alla nascita e alla crescita di una mentalità rispettosa delle leggi. Un ruolo del tutto speciale spetta alla comunità cristiana, che, con le sue varie strutture, è impegnata in quest’opera educativa, a cominciare dalla parrocchia con la catechesi e le molteplici iniziative culturali, formative e caritative, per finire all’associazionismo specie giovanile, e al volontariato. È necessario far emergere in modo vigoroso nell’opera educativa la dignità e la centralità della persona, l’importanza del suo agire in libertà e responsabilità, il suo vivere nella solidarietà e nella legalità. E stata questa l’opera educativa di don Pino, e per questo ha pagato con la vita per mano dei peggiori fautori della illegalità. L’esempio comunque è il più efficace e convincente strumento educativo. La comunità cristiana deve risplendere nella città terrena come modello di rispetto della legalità e della giustizia, anche nel rapporto con le istituzioni politiche e amministrative. A queste la Chiesa non chiede favori, ma solo i diritti: specialmente quando si tratta di agevolare e sostenere iniziative e strutture atte a sottrarre al degrado ambientale e morale e a educare i giovani e i minori, come anche opere di promozione umana a vantaggio, degli ultimi e degli emarginati, così numerose nella nostra città, e perciò a vantaggio della convivenza sociale e della società: per questo don Puglisi quanto ha penato. In ogni caso la Chiesa di Palermo, in tutte le sue articolazioni, intende ispirarsi a questa regola d’oro della legalità che addito a tutti nel nome del Signore: non chiedere quanto la legge non consente di avere, domandare, per il bene della comunità, quanto la legge consente di dare, pretendere quanto la legge impone di assegnare. La Chiesa di Palermo preferisce essere povera ma libera, specchio di legalità, per essere, anche sotto questo aspetto, «senza ruga e senza macchia, santa e immacolata», come la vuole il suo Signore. Educare alla legalità. È un tratto non secondario della nuova evangelizzazione. E stato un impegno che ha caratterizzato la missione sacerdotale di don Puglisi come evangelizzatore, educatore dei giovani e formatore delle coscienze nella verità, promotore di solidarietà sociale e di servizio ecclesiale nella carità. È questa la consegna che egli lascia a tutti noi, sacerdoti, religiosi/e e laici, con la voce del sangue che ha imporporato la nostra Chiesa e che è più forte di ogni parola. Noi la assumiamo con forte senso di responsabilità, perché Palermo, come ho auspicato nella festa di S. Rosalia, riaffermando i valori della legalità, diventi «la città della speranza e della vita». Un auspicio che affido all’intercessione di Maria, esempio fulgidissimo di legalità fino all’eroismo.
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